L'Artrite Reumatoide oggi colpisce nel mondo circa 10 milioni di persone. In Italia sono circa 300.000 le persone che ne sono affette.
L'Artrite Reumatoide colpisce in prevalenza le persone con età compresa tra 30 e 50 anni e soprattutto le donne che rappresentano circa il 75% del totale dei malati. Ne sono però colpiti anche i bambini molto piccoli.
L'Artrite Reumatoide è una malattia autoimmune e come tutte le malattie autoimmuni non è ancora chiaro qual è il fattore che altera i meccanismi della risposta immunitaria, normalmente utilizzati per difendersi da eventuali agenti esterni, portandoli, invece, ad aggredire i componenti dell'organismo stesso.
Quello che si sa invece è come si sviluppa il processo. Il meccanismo si innesca con l'attivazione dei linfociti T che determinano i processi infiammatori che attaccano i tessuti articolari e le ossa provocando quelle gravi alterazioni che portano all'invalidità.
Le cause
Purtroppo non ci sono certezze. Tra le ipotesi più condivise c'è quella che considera l'Artrite Reumatoide una malattia multifattoriale in cui si rintraccia l'influenza sia di componenti ereditarie che di fattori ambientali.
Tra le prime c'è l'evidenza statistica che nelle persone con consanguinei affetti da Artrite Reumatoide le probabilità di essere colpite dalla malattia sono quattro volte superiori alla norma. Tra i fattori ambientali è ipotizzata l'azione di alcuni virus, squilibri ormonali e soprattutto modificazioni dell'assetto immunitario.
I sintomi
Un altro elemento caratteristico è la rigidità mattutina dell'articolazione e la persistenza della sintomatologia dolorosa anche con il riposo.
La diagnosi
Il test del fattore reumatoide non è probante perché non solo c'è un 30% di malati che non è positivo al test ma c'è anche un 5% di persone sane (ma la percentuale sale fino al 10-20% nelle persone con oltre 65 anni di età) che invece risulta positivo perché non evidenziano alterazioni ossee. Quando queste compaiono vuol dire che, purtroppo, la malattia è attiva da molto tempo.
Le indagini radiologiche sono di scarsa utilità nella prima fase della malattia.
Secondo l'American College of Rheumatology per fare una corretta diagnosi di Artrite Reumatoide devono essere presenti almeno 4 di questi sette requisiti:
- Rigidità mattutina che si protrae per almeno un'ora
- Infiammazione/dolore di tre o più aree articolari (falangi, metacarpo, polso, gomito, ginocchio anca e metatarso-falange destre o sinistre)
- Infiammazione/dolore delle articolazioni della mano
- Impegno simmetrico delle articolazioni colpite
- Presenza di noduli reumatoidi sottocutanei, generalmente nelle aree vicine alle articolazioni. Possono repertarsi anche in sede polmonare.
- Presenza di livelli sierici elevati di Fattore reumatoide
- Segni di erosione delle articolazioni della mano o del polso visibili alla radiografia.
La terapia
Per ridurre il dolore si usano comunemente i diversi analgesici esistenti, gli antinfiammatori non steroidei e i cortisonici.
Per evitare la progressione delle lesioni articolari si utilizzano invece farmaci in grado di interferire con la reazione autoimmune.
Tra questi ci sono i cosiddetti farmaci di fondo che comprendono diverse sostanze note da tempo e che originariamente erano utilizzate per curare altre patologie.
Dalla fine degli anni '90 sono disponibili nuovi farmaci, cosiddetti biologici, che hanno rivoluzionato la cura dell' Artrite Reumatoide.
La loro peculiarità è quella di bloccare l'azione di una proteina, il Fattore di Necrosi Tumorale (TNF) che nell'organismo sano ha la funzione di attivare le normali risposte infiammatorie mentre nel paziente con Artrite Reumatoide, essendo prodotta in eccesso, scatena quell'infiammazione abnorme che caratterizza la malattia.
L'efficacia dei farmaci biologici è molto elevata ma dipende in larga misura dalla tempestività con la quale vengono impiegati.
Con diagnosi e terapie precoci è possibile ottenere, nel 50-60% dei casi, la remissione della malattia con scomparsa dei dolori e riduzione del danno che si è realizzato con una qualità di vita accettabile.
Nel restante 40% si può registrare un sensibile rallentamento dell'evoluzione della malattia, una notevole riduzione sia della sintomatologia dolorosa sia del realizzarsi dei danni invalidanti.
Per ottenere questi risultati è indispensabile però che la diagnosi di Artrite Reumatoide sia effettuata entro 12 settimane dalla comparsa dei primi sintomi e che le cure siano avviate entro 16 settimane e non oltre sei mesi dall'esordi della malattia.
Tradotto in termini pratici questo vuol dire che l'approccio all'Artrite Reumatoide sta cambiando da un criterio di gradualità ad un criterio di tempestività dell'intervento.
Se prima si cominciava con la terapia analgesica e solo in un secondo momento si passava ai farmaci di fondo, oggi si preferisce sin dagli inizi un approccio più aggressivo soprattutto quando ci sono i segni di una rapida progressione del danno in un soggetto con Fattore reumatoide presente e con VES e proteina C-reattiva elevati.